Pre Albin
Mons. Albino Perosa è nato a Rivignano il 20 aprile del 1915, da Attilio e Lina Dorigo che si erano sposati il 25 maggio del 1914. Il papà soldato ha avuto la gioia di vederlo pochi giorni dopo la nascita perché, appena scoppiata la I^ guerra Mondiale, morì a distanza di pochi mesi sul Pecol, sopra Cortina d’Ampezzo. La mamma ha potuto crescere il figlio anche perché la famiglia patriarcale dei Perosa l’ha accolta e sorretta con esemplare attenzione. Il piccolo Albino cominciò subito a sentire il fascino della rigogliosa natura della bassa e la voce musicale che gli vibrava dentro. Raccontava che ricordava ancora come si costruisse con le proprie mani degli strumento elementari per … fare musica. La prima tappa fu l’ingresso nel gruppo dei Pueri cantores di Rivignano, dove il cappellano era già musicista conosciuto e apprezzato. Il parroco, mons. Sbaiz, era un “patito” del canto gregoriano e i suoi “pueri” ne erano gli interpreti assidui e preparati assai severamente, Sarà un’esperienza indimenticabile, che segnerà il suo divenire musicale.
Passato a Bertiolo iniziò lo studio del pianoforte con Mario De Marco. Ma la prima svolta avvenne in Seminario e segnatamente nel periodo del Liceo e della Teologia. Era docente don Mario Roussel, che ne intravide le grandi qualità e gli fu maestro puntuale e assiduo. IL seminario fu una palestra importante sia per le possibilità che gli furono offerte sia per l’impegno nello studio e nella ricerca di cose musicali.
Nel 1939 fu ordinato sacerdote e nominato cappellano al Tempio Ossario. Qui trovò un parroco, mons. Clemente Cossettini che gli diede spazio e stimoli per iniziare e la carriera di esecutore, di direttore di coro, e di composizione. Ma don Perosa sapeva bene che la musica non è soltanto istinto e improvvisazione. Occorrono molto studio, costante impegno e guide capaci e sicure. Si iscrisse quindi ai corsi presso il Liceo Musicale “J. Tomadini”, dove superò i primi esami, per passare poi definitivamente sotto la guida di mons. Giovanni Pigani, che teneva la cattedra di organo e composizione organistica. Ne uscì nell’ottobre del 46 con il relativo diploma. Nel frattempo aveva sempre scritto musica, prevalentemente sacra, ma senza tralasciare qualsiasi occasione gli si fosse presentata per attendere ad altri generi musicali. Ma comporre musica non è cosa semplice: è costruire una casa con fondamenta e con un severa intelaiatura. Si affidò allora a Mario Montico. Il direttore del Liceo Musicale e aveva visto bene di che stoffa fosse il giovane prete del Tempio. Si presentò a casa sua, nell’appartamento che stava sopra al noto negozio di articoli musicali, in via Vittorio Veneto; subito lo accolse, chiedendo però serietà d’intenti e voglia di fare, di studiare. Mons. Perosa sempre con nostalgia e riconoscenza le lunghe ore di lezione, che hanno lasciato in lui tracce profonde. Diceva che montico era un a miniera inesauribile, che di musica sapeva tutto. Molto gli era servito il soggiorno parigino quindi il contato con tutte le novità di un mondo vivacissimo e profetico. Trasmise tale predilezione all’allievo. Un cammino sì difficile, ma percorso con la gioia soprattutto di scoprire mondi nuovi e di vederli con la stessa intensità del maestro. Non c’erano limiti di tempo e di traguardi. Quando Montico lo riconobbe ”degno” (così ricordava l’allievo) lo presentò al Conservatorio “G.Tartini” di Trieste, per quella che può essere considerata la vera laurea in musica: la composizione. La commissione giudicante avrebbe fatto tremare chiunque. Per chi sa di cose musicali non proprio recenti, che pur costituiscono la storia musicale non solo di questa regione, basterà citare i nomi di Bruno Cervenca, di Luigi Toffolo, di Vito Levi, di Giulio Viozzi, per capire quanto valga il diploma conseguito l’8 novembre del 1955, a pieni voti. Si era sicuramente ricreduto Viozzi che quando vide quel giovane prete, con la veste talare, gli disse: “Ma che viene a fare un prete, a prendersi un diploma in composizione?” poi se ne accorse del perché pure lui. Diventarono amici.
Quel sudato diploma non fu importante per il “pezzo di carta” ma per quello che riassumeva di un sapere che aveva il sigillo di riconoscimento: era l’inizio, anche la conferma che quanto aveva fatto doveva moltiplicarsi verso nuovi, stimolanti orizzonti. E cominciò a insegnare musica ai chierici in Seminario (nel ‘56) e con loro operava anche in campo corale e vi rimase fino agli anni settanta. Nel ‘61 il suo maestro Mons. Pigani, che era diventato direttore del “Tomadini” lo chiamò a tenere la cattedra di organo e composizione organistica. Vi rimarrà sino al ‘75, quando lasciò per raggiunti limiti di età. Nel ‘66 ancora mons. Pigani gli consegnava la Cappella Musicale del Duomo. In campo corale aveva fondato il coro “Tomadini” legato alla attività sinfonico corale del Liceo Musicale, successivamente il coro “S.Cecilia”. Si legò al Duomo per ridar prestigio e vitalità a un settore che per varie ragioni era un po’ scaduto. E questo sarà il suo grande “strumento” su cui comporre tanta parte della sua musica sacra, in particolare liturgica. Erano gli anni della riforma conciliare e Mons. Perosa si mise subito a comporre moltissime opere per l’anno liturgico, coinvolgendo l’assemblea e rispettando quelle regole non scritte che sono segnate dalla sapienza musicale, dalla consapevolezza del nuovo e dalla dignità di una presenza, che no ha mai ceduto alle mode.
Il suo “corpus” sacro è ricchissimo e l’humus parte da lontano. Abbiamo detto delle radici gregoriane, ma lo affascinava anche il canto aquileiese e lo incantava la musica polifonica: assi portanti del suo comporre. Oltre a quella continua, appassionata ricerca di ogni nuovo mondo musicale. Alla fine della vita confidava che sentendo la musica del nostro tempo, c’era sempre qualcosa che lo avvinceva e lo lasciava attento e talvolta attonito.
Un filone che non può essere scordato è il canto popolare, impropriamente limitato alla definizione di “villotta friulana”. Un mondo, come quello di ogni Paese, che da noi non aveva raggiunto vette artistiche. Anche l’amico Piero Pezzè ha dato valore e significato a pagine e melodie con tutto il suo grande sapere. Ma fu abbastanza episodico. Perosa ha affrontato decine di melodie; le ha armonizzate, soprattutto le ha elaborate con straordinaria inventiva, con profonda intimità e con un linguaggio che porta la “villotta” finalmente all’opera d’arte.
Anche altri generai ha affrontato: dalla musica sinfonico-corale alle operette, alla musica da camera per singoli strumenti a complessi di varia formazione.
Occorrerà col tempo analizzare tutto. prima di dare un giudizio compiuto e completo del suo essere musicista nel senso più ampio del termine.
Mons. Perosa fu anche un manager musicale. Dai cori succedutisi al Tempio Ossario (sino agli ultimi anni di vita) a quello del Seminario, dal “S.Cecilia” alle esecuzioni concertistiche ad esempio con l’orchestra di Plinio De Anna che prese in mano dopo la sua morte: è stata la cellula germinate dell’attuale “Filarmonica udinese”. Vogliamo citare due straordinari apporti di Mons. Perosa alla vicenda musicale di questo ultimo scorcio di secolo in Friuli.
Quando iniziò nel ‘61 a insegnare organo, la cattedra del “Tomadini” annoverava pochissimi allievi. Egli quasi andò a cercarseli e a lui si deve se la cultura organistica si è diffusa in Friuli, oltre a creare una vera e propria scuola friulana. Basterà pensare che oggi al Conservatorio “Tomadini” ci sono quattro cattedre: fatto unico in Italia
A lui si deve la rinascita della Scuola Diocesana di musica. Fondata da don Roussel negli anni 20 sopravvisse fino a quando non la prese in mano lui in maniera decisa.
Dal ‘75 soprattutto, quando aveva lasciato l’insegnamento accademico, al ‘94 ne è stato regista entusiasta e capace. Adesso cinque sono le sezioni staccate dalla sede madre di Udine: Ampezzo, Gradisca di Sedegliano, Mortegliano, Moruzzo e Varmo. Basterà pensare alla cifra-record dell’89 con quattrocento allievi. Intendeva dare alle parrocchie musicisti seri e capaci. Ma anche sensibili a operare nelle assemblee liturgiche con scienza e coscienza che debbono sempre convivere in un connubio di grande dignità: bando quindi al pressappochismo e allo spontaneismo.
Mons. Perosa ha pure lasciato vivissimi ricordi come insegnante di religione in istituti udinesi, al Valussi e allo Stringer 1946-63: gli studenti l’hanno sempre amato e apprezzato grandemente.
Ne va scordato il suo impegno civico. Durante l’occupazione tedesca fu partigiano. Il Tempio Ossario era centro di smistamento, centralina radiofonica e quanto serviva per una lotta clandestina. Con tutti i rischi che la cosa comportava ma anche con la quasi incosciente generosità di chi sa di dover assolvere a un preciso impegno. Nel ‘69 gli è stato riconosciuto questo impegno con una croce al merito di guerra.
Mons. Perosa ha lavorato, ha scritto musica sino alla fine: l’ultima sua composizione reca la data del 7 Dicembre ‘96, pochi giorni prima di doversi arrendere al male. L’insufficienza renale lo costrinse per quasi tre anni al calvario della dialisi. Infine un cancro ne ha stroncato le residue energie con un progressivo scadimento e una lunga agonia.
E’ morto la notte del 20 Settembre 1997.
Il funerale presieduto da Mons. Battisti è stato un fraterno saluto che oltre cento preti e centinaia di persone in Duomo gli hanno tributato.
Due sono stati i momenti di grande commozione: quando il coro formato da circa centotrenta cantori provenienti da diversi gruppi iniziò il canto della sua “Messa per i defunti”, scritta nel ‘68 e rivisitata nel ‘69.
Il coro anomalo poté provare per due sere e il direttore Gilberto Della Negra ha avuto il grande merito di mettere su un vero coro: il risultato è stato superiore a ogni attesa.
Dopo la Comunione, gli archi della Filarmonica Udinese hanno voluto rendere omaggio al loro maestro eseguendo due tempi di una sua Suite.
L’Arcivescovo di Udine e il sindaco di Udine avv. Enzo Barazza gli hanno portato l’omaggio della Chiesa friulana e della città, a nome dell’intero Friuli. che lo annovera sicuramente tra i personaggi e i musicisti più insigni di questo secolo.